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L'età della tigre

Di: Ivan Carozzi
Letto da: Giancarlo Cattaneo
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Sintesi dell'editore

Sfera Ebbasta lo champagne lo sperpera, lo dissipa, lo scialacqua, e il gracidare del liquido che precipita e macchia l’asfalto poroso sembra lo scroscio di una svergognata e liberatoria pisciata.»La gigantografia di un individuo in pelliccia sintetica rosa appare un mattino sui muri di Milano. Il suo nome è Sfera Ebbasta, la sua voce soffia dal ventre dell’Auto-Tune, le sue gengive ospitano denti dorati. Chi è quella creatura fluorescente in agguato ovunque, fra i mezzanini della metropolitana e nelle piazze scintillanti del centro? Perché la trap e i suoi eroi di plastica si sono insinuati nei nostri discorsi e nei nostri sogni? Cosa ci dicono di noi? A chiederselo è uno scrittore smarrito, che per rispondere deve scoprire il vuoto tra la sua generazione e quella di chi oggi ha vent’anni. Provando ad abitare quel vuoto con la scrittura, finisce per. per interrogare in modo sempre più intimo se stesso e il suo tempo; per vagare a caccia di un incontro rivelatore in una città doppiata dai social network, tra quartieri che sembrano rendering in cui pullulano figure a una dimensione e mercati multietnici simili a una delirante Vārānasī. L’età della tigre è una narrazione asimmetrica e randagia; il toccante resoconto di un tempo esausto e dei suoi inconsapevoli desideri.«L’editore ha invitato l’autore, qualora lo desiderasse, a dissociarsi dalla copertina pubblicando una breve nota. L’autore ne approfitta, apprezzando il gioco e lo spirito della proposta. Perciò dichiara che il soggetto ritratto in copertina, dal suo punto di vista, non rappresenta il libro né l’autore. Un libro che si occupa di un linguaggio chiamato trap non è per forza un libro pop, come la copertina sembra suggerire. Inoltre il libro non tratta esclusivamente di trap. Fosse stato per l’autore, in copertina ci sarebbe una foto della nonna o quella in bianco e nero di uno specchio impolverato, a cui si accenna a un certo punto nel testo, dove è scritta la parola “salario”.

©2019 Il Saggiatore S.r.l. (P)2023 Audible GmbH

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uno sguardo colto alla cultura pop

Carozzi ha la penna sciolta e l'intelligenza vivace ideali per descrivere i nostri tempi e aiutarci a capirli

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No il libro, no la lettura

All’inizio circa 2 stelle, poi tracolla e mi pare peggiorare.
Non è che non condivida la mentalità e la filosofia dell’autore. Non è che non condivida pienamente la sua etica e le sue tesi.
Ma il tutto è esposto in un caos disturbante e insensato, spesso inutilmente verboso.
Non c’è una struttura o non la si percepisce, le digressioni personali si mischiano ad altre che non c’entrano niente o perlomeno non sembrano essere pertinenti.

Ci può stare che si parta dal tema della Trap per cercare di elaborare un’analisi sociale più approfondita, ma qui siamo vittime di una accozzaglia di episodi personali, ricordi, opinioni, giudizi e quant’altro.
Forse il tema conduttore è che l’autore cerca di fare la morale alla Trap ma senza criticarla apertamente, facendoci intuire quanto sia disprezzabile, ma non volendo sembrare vecchio e giudicante nel convincerci che si tratta di un brodo anti-etico. In questo manca di coraggio, prenda posizione dichiarando apertamente che disprezza la filosofia di questi musicisti (posizione, peraltro, tutt’altro che discutibile).
In un paio di sezioni l’autore racconta le perplessità del proprio editore rispetto alla struttura e alle divagazioni del suo lavoro; riferisce alcune di queste debolezze, forse quindi le percepisce egli stesso; sorprende quindi che non abbia posto rimedio e altrettanto non abbia fatto la casa di editrice.

Ma soprattutto Carozzi è onnipresente, la sua presenza soffocante: non riesce a smettere di posizionare sé stesso al centro e come riferimento di ogni narrazione, di ogni commento e analisi. Lo fa parlando di esperienze personali, raccontando proprie giornate, riferendo ricordi dell’infanzia: la sua presenza sempre sulla scena e sulla pagina si fa fastidio, si fa disturbo. Si tratta insomma più di un diario che di un esperimento letterario.

Risultato finale inutile, confuso e prolisso.

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