Uno è tra gli scrittori italiani contemporanei più apprezzati, autore tra gli altri del fortunato Caos calmo, che dopo cinque anni torna con un nuovo romanzo. L'altro è un grande attore di cinema, tv e teatro, che ha prestato la sua splendida voce anche al doppiaggio. Insieme, danno vita a un’esperienza di ascolto unica. Stiamo parlando di Sandro Veronesi e Fabrizio Gifuni, rispettivamente autore e lettore de Il colibrì. Abbiamo intervistato Fabrizio per farci raccontare qualcosa di più sulla sua esperienza come interprete di audiolibri e sul suo rapporto con il romanzo di Veronesi.
Fabrizio, come hai iniziato la tua carriera di narratore e perché?
Il primo audiolibro completo che ho letto è stato Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, nel 2012; ricordo che fu un lavoro enorme, e che scelsi questo testo non solo perché lo considero tra i migliori del ‘900, ma anche perché per me si tratta di un’opera feticcio, che contiene una complessità tale da permetterti di capire molte cose sul processo linguistico che sta dietro la lettura di un libro. Insomma, non dirò che fatto questo puoi fare tutto, ma quasi!
Ho iniziato a leggere audiolibri perché la lettura ad alta voce è sempre stata una cosa a cui ho attribuito molta importanza, per due motivi: primo perché mi è sempre piaciuto farlo e secondo perché penso che sia un processo assolutamente naturale. Non dobbiamo infatti dimenticarci che le parole non si depositano magicamente su un libro allo scopo di essere lette, ma provengono sempre dal corpo voce di un autore; l’oggetto libro contiene quindi la voce dormiente dell’autore, e leggere ad alta voce significa staccare le parole dalla dimensione orizzontale e rimetterle su un corpo, questa volta quello del lettore. C’è una grandissima libertà contenuta in quest’atto, e si fanno anche delle grandissime scoperte, perché alcuni passaggi in lettura silenziosa possono rimanere più chiusi, mentre ad una lettura ad alta voce è come se si aprissero, si liberassero più facilmente. Poi durante il processo succedono molte altre cose; ad esempio, seguendo la voce si riesce a capire come pensa l’autore e quali sono i meccanismi mentali che hanno portato a quella scrittura. E’ un procedimento delicato in cui quello che io cerco di fare di solito è provare a scomparire dietro la scrittura, far si che siano il libro e la storia stessa a parlare e raccontarsi, nonostante ci sia sempre un lavoro istintivo di interpretazione.
Che differenza c’è tra la recitazione e l’interpretazione di un libro?
Mettere il corpo della scrittura, dell’autore in primo piano, insieme alla storia che si racconta, mette in campo un lavoro fisico che per me è esattamente identico a quello che faccio quando sto su un palco o davanti a una macchina da presa, non c’è alcuna differenza. Il fatto di trovarsi in uno studio di registrazione e di giocare (apparentemente) solo con la voce, implica in realtà tutto quello che succede quando il corpo entra in campo, nonostante l’apparente immobilità. Parlo di emozioni, inciampi, cambi di temperatura e battito del cuore… tutto questo è lo stesso che avviene in uno spettacolo teatrale, perché la voce è corpo, la sua parte più segreta.
Una curiosità: anche la preparazione è la stessa per uno spettacolo di teatro e per la narrazione di un audiolibro?
La preparazione cambia in ogni caso rispetto al precedente. Non c’è una chiave che apre tutte le porte, un modo unico di prepararsi a stare in uno studio o affrontare un personaggio. In teatro o al cinema la cosa importante è capire chi dirige, ovvero che lingua e sistema di segni stiamo usando, così come succede per ogni scrittura, che ha un linguaggio e una complessità differente. Pensare di usare lo stesso metodo sempre è utopico…
Diciamo che nella lettura degli audiolibri una cosa che a me piace molto fare è, una volta letto il libro, quella di lasciarmi sorprendere. il giorno prima non rileggo mai quello che devo narrare, perché mi piace conservare un po’ la sorpresa di qualcosa che non ricordo, far si che il lavoro sul testo non sia un lavoro di partitura in cui ci sono pause prestabilite e cose già segnate, ma lasciare che la scrittura mi dica quando è il momento e cercare di reagire istintivamente.
Parliamo de Il Colibrì, l’ultimo audiolibro che hai interpretato. Cosa ti ha colpito di più di questo romanzo?
Partendo dal presupposto che io cerco di leggere soltanto ciò che mi piace, perché non riuscirei mai a interpretare qualcosa che non sento, il libro di Sandro Veronesi è uno dei romanzi più belli che io abbia letto negli ultimi anni. E’ emozionante, complesso, vero, toccante, per questo nei suoi confronti ho avuto subito un trasporto e un innamoramento sinceri e fortissimi. E’ un romanzo polifonico, con tanti personaggi, nel quale seguiamo la storia del protagonista, il dottor Marco Carrera, con cui Veronesi (e noi con lui) instaura un rapporto di empatia fortissimo. A Marco succedono un’infinità di cose, molte tragiche e dolorose, che cambiano il corso della sua vita; anche se si tratta di un personaggio che apparentemente cerca di non muoversi mai dalla sua posizione, internamente la vita lo sottopone a tante prove disumane; insieme a lui ci sono tanti personaggi memorabili che danno al racconto una vivacità e una imprevedibilità molto forte.
Se però devo dire una cosa che mi ha davvero colpito, forse è l’emozione fortissima nello stare insieme al personaggio di Marco.
In Il colibrì l’io narrante, che è l’autore, si confonde con la voce del protagonista, e queste dissolvenze incrociate (che fanno che Sandro scompaia e compaia continuamente) danno la possibilità al lettore di empatizzare con lui in modo profondo, di riflettersi nella storia; anche se per tua fortuna non hai attraversato quelle stesse prove, riesci a sentire perfettamente quello che i personaggi provano.
Per quanto riguarda la scrittura, ho cercato di ascoltare la voce di Sandro, per questo c’è nell’interpretazione un’ombra della sua provenienza geografica; la storia inizia a Roma nel quartiere Trieste e poi si svolge anche a Firenze e a Bolgheri, nella casa di famiglia dove avvengono morti, lutti, litigi, amori. Quella de Il colibrì è una storia familiare ma ha una specificità molto forte che non saprei descrivere a parole… dirò solo che è davvero una grande storia e vi consiglio di abbandonarvi al piacere della lettura!
C’è un momento, un episodio del libro che ti ha emozionato particolarmente?
Un passaggio che mi ha toccato, come penso toccherà tutti i lettori, è uno di quelli più tragici del libro: la morte della figlia, il racconto dell’impensabile evento che nessuno di noi riesce a immaginare. Ci sono due capitoli che sono quasi insostenibili, eppure, e questo è il miracolo, sono portati avanti con una precisione e tenerezza per cui non vieni mai respinto dall’insopportabilità di quello che succede, ma riesci a capirla e a capire cosa proveresti tu.
Un’ultima domanda per chiudere. Hai sentito il peso della responsabilità di leggere il primo libro da 5 anni a questa parte di un autore così importante come Veronesi?
No, diciamo che il senso di responsabilità è qualcosa che già mi appartiene costituzionalmente, sono quel tipo di persona che lo deve lasciare un po’ da parte, perché se penso troppo alla prova e a quello che devo fare, e a non rovinarlo, non vado da nessuna parte. Così come quando in teatro o al cinema incontri dei personaggi grandissimi, a un certo punto devi ricordare a te stesso che la scrittura è un gioco ed è un gioco riportarla in vita, e va quindi affrontata in modo giocoso.