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Mani pulite: intervista a Mia Ceran

Mani pulite: intervista a Mia Ceran

Nel 1992 l'Italia si fermò davanti alle inchieste dei magistrati che si aprivano una dietro l'altra senza sosta; il paese intero fu sconvolto dal rumore delle manette, dal fruscio delle mazzette, dalle voci dei giornalisti. Stava finendo la milano da bere, scoppiavano le bombe in Sicilia, folle festanti osservavano politici incamminarsi verso la galera. Un'epoca lampo, 2 anni, ma con la quale l'Italia ancora oggi non ha fatto pace.

L’espressione "Mani Pulite" è stata creata dai media per definire l’indagine giudiziaria, condotta in Italia all’inizio degli anni ‘90, che fece emergere l’impressionante diffusione della corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti nel nostro paese. Anche note con il nome di Tangentopoli, le inchieste gestite dal pool di magistrati della Procura di Milano, guidati da Antonio Di Pietro, portarono all’arresto di centinaia tra imprenditori e politici e rivoluzionarono la scena politica italiana, mettendo sottosopra partiti storici come la DC e il PSI fino a farli praticamente sparire dalla circolazione. Fu l’inizio della Seconda Repubblica, una nuova fase della politica italiana.

L’inchiesta più famosa della nostra storia, la tempesta giudiziaria iniziata il 17 febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, è raccontata da Mia Ceran nel podcast Mani Pulite, prodotto da Will Media per Audible Original.

Mani Pulite

Mia Ceran è una nota giornalista e conduttrice televisiva che ogni giorno racconta l’attualità in The Essential, uno dei podcast di news più ascoltati in Italia. Le abbiamo fatto alcune domande.

Sono passati 30 anni da Mani pulite, ma ancora oggi l’inchiesta con la “I” maiuscola è oggetto di dibattito sia sul piano storico che politico. C’è chi ha difeso e difende le inchieste e i magistrati come simbolo della politica trasparente, chi invece denuncia la fine ingiusta di realtà politiche che, piacesse o no, erano fondamentali per fare funzionare la macchina dello stato e segnala il mescolarsi malsano di giustizia e giustizialismo. Indro Montanelli definì Mani Pulite una "rivoluzione pacifica della società civile". Con la lucidità data dal tempo che passa, qual è l’idea che ti sei fatta su Tangentopoli e perché ti intriga a tal punto da dedicargli un podcast?

(Mia) Per la mia generazione (oggi ho 35 anni), ma anche per quelli un po’ più grandi, Mani Pulite è un rumore distante, un suono di monetine alla televisione, il riecheggiare di nomi che hanno dominato la scena politica e non solo per poi sparire.
Per quelli più giovani di me forse è rimasto ancor meno di questo momento storico durato due anni o poco più ma che vale un’epoca. E ora che esiste uno strumento, il podcast, che sembra nato per portare avanti la tradizione orale che caratterizza la nostra civiltà dai tempi di Omero, mi sembrava che il trentesimo anniversario fosse l’occasione perfetta per lavorare ad un progetto che mi avrebbe permesso di studiare avidamente quel pezzo di storia e per poi avere il privilegio di raccontarlo.
Farlo insieme a Francesco Oggiano e Davide Piacenza, con i quali condivido non solo un’appartenenza generazionale ma anche la curiosità giornalistica è stato un viaggio davvero interessante, fatto di confronti e di opinioni diverse, perché su un tema come questo è molto difficile non discutere e non accendersi. Per lungo tempo gli italiani si sono divisi tra giustizialisti e garantisti, hanno giudicato tutte le figure coinvolte, da quella di Craxi a quella di Di Pietro come se il bene e il male stessero da una sola parte e avessero una sola faccia. Ma i trent’anni di distanza hanno portato inevitabilmente ad una nuova consapevolezza: nessun eroe in questa storia è stato senza macchia e nessun colpevole non ha avuto un proprio angolo di tragedia umana. E questo era esattamente quel che volevamo raccontare con Mani Pulite.

Nella tua ricerca per elaborare i contenuti di Mani pulite, hai trovato qualche informazione o ti sei accorta di qualcosa che proprio non ti aspettavi e che ti ha sorpreso su Tangentopoli?

(Mia) La biografia di tutti protagonisti è ricca di aneddoti che sembrano scritti per una serie televisiva; la cronaca supera il lavoro di uno sceneggiatore. Quando raccontiamo di Duilio Poggiolini, un direttore generale del servizio farmaceutico del ministero della Sanità del quale si scoprirà che aveva accettato tangenti per un valore tanto grande da essere difficilmente calcolabile, i dettagli lasciano basiti: lui e sua moglie vivevano in una casa che nascondeva nel mobilio il ricavato delle tangenti. Quando gli agenti andranno a perlustrare la villa, questi tesori nascosti (lingotti d’oro, gioielli, pacchetti di azioni e titoli di stato) verranno fuori dalle cuciture dei pouf, dai cuscini dei divani, dalla boiserie. “Non sapevo neanche di essere così ricco” dirà Poggiolini davanti all’evidenza. Anche le battute sembrano sceneggiate per una serie.

Poi ci sono veri e propri pezzi di storia, come la discesa in campo di Silvio Berlusconi, il videomessaggio che tutti abbiamo visto almeno una volta, quello del famoso incipit “l’Italia è il paese che amo”, che viene registrato nella villa di Macherio ancora in costruzione, al momento dell’effettiva registrazione esiste solo quel che tutta l’Italia vedrà nell’ inquadratura, la scrivania e gli arredi dietro, ma non ci sono nemmeno le finestre, le mura sono diroccate e le fessure tappate con dei teli di nylon. Ecco, a tratti studiare per un lavoro del genere regala queste perle; i “dietro le quinte” dei momenti che hanno fatto la storia del nostro paese.

Si è parlato a fondo del ruolo dei media durante Tangentopoli. In molti sostengono che il modo in cui l’inchiesta fu raccontata, concentrandosi più sulle storie e i vizi dei protagonisti che sul concetto chiave di lotta all’illegalità, abbia influito sulla percezione un po’ caricaturale che di quell’epoca hanno poi avuto gli italiani e sul progressivo scemare del loro interesse. In effetti, quello che è successo più di un quarto di secolo fa durante Tangentopoli oggi non sembra sconvolgere più di tanto. Che idea ti sei fatta di quella narrazione e in che modo, invece, ti proponi nel podcast di risvegliare la consapevolezza intorno a un episodio come questo?

(Mia) Non amo le accuse collettive ad una categoria, credo nel valore (o disvalore) individuale di chiunque abbia contribuito a raccontare quel periodo. Tanto del lavoro di ricerca che abbiamo fatto per scrivere Mani Pulite viene dal lavoro di colleghi giornalisti che hanno scavato, metabolizzato, processato qualcosa che nella storia italiana non era mai ancora accaduto e quindi non era mai stato raccontato. Ci sono stati errori, restano colpe indubbiamente di chi ha lavorato senza filtri, senza coscienza e/o schierandosi dal giorno uno da una parte o dall’altra come se si trattasse di una partita di calcio. Ma trent’anni di storia hanno permesso di salvare il buon lavoro di chi si è impegnato per leggere un paese che stava cambiando e per raccontarlo. E il pubblico sicuramente ad un certo punto si è assuefatto a quelle storie, a quei continui colpi di scena. Ma tanto è stato dimenticato, sepolto sotto ascese e cadute di personalità ingombranti, tanti dettagli e tante storie sono state dimenticate ma rileggerle oggi dà loro un nuovo sapore. Abbiamo tutti occhi diversi con cui guardare quegli episodi.

Mani pulite sdoganò la corruzione in Italia, presentandola come un comportamento diffuso in tutti gli ambienti e settori. Molti di noi hanno ancora oggi la sensazione che in Italia la corruzione sia un fenomeno esteso e pervasivo, ma è davvero così? Giornali e TV influenzano la percezione di corruzione?

(Mia) Rispetto a quel che è successo e che raccontiamo in Mani Pulite siamo diventati un paese modello. Il grado di malaffare e di corruzione che ha pervaso il nostro paese, macchiato per sempre la politica (tanto che un’ampia fetta di cittadini continuerà per decenni a pensare che politica sia sinonimo di corruzione) è stato talmente endemico che nulla è più stato uguale dopo che questo ciclone è passato sul nostro paese. Ma gli episodi sono stati di una tale gravità che a confrontarli con quel che le cronache ci offrono oggi ci fanno sembrare profondamente migliori. Certo, la corruzione non è stata interamente debellata, ma il giudizio sociale negli anni di Tangentopoli è stato talmente forte, sospinto dal lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine, che nessun “mariuolo” (per usare un termine familiare di quell’epoca) agirà mai più con quel baldanzoso fare da impunito.

I podcast d’inchiesta sono sempre più popolari. Si tratta di un formato utile per avvicinare pubblici diversi, soprattutto i più giovani, all’approfondimento di fatti chiave della nostra storia? Quale credi sia il pubblico che più potrebbe apprezzare il tuo podcast?

(Mia) Ho iniziato a fare podcast perché li ascolto avidamente. Li ascolto mentre cammino (di più: scelgo di camminare invece di usare un altro mezzo per poter ascoltare podcast), mentre sono in casa, mentre faccio sport. Questa immersione mi genera continue ispirazioni, idee di qualcosa che vorrei ascoltare. Sono il primo potenziale ascoltatore di quel che produco. L’idea di Mani Pulite è nata nella famiglia di Will; l’entusiasmo si è acceso immediatamente. Abbiamo capito che l’interesse per il tema era trasversale: interessava ai più giovani che ne sapevano molto poco, interessava ai miei coetanei che ne avevano sentito parlare ma non erano sufficientemente adulti per capire cosa stava accadendo e interessava a chi c’era perché è un pezzo di storia del nostro paese ancora irrisolto, con il quale ancora dobbiamo finire di fare i conti.

Mani pulite è un podcast che parla delle sfaccettature che hanno reso Tangentopoli una vicenda fondativa della storia e dell’identità del nostro paese e che vuole cercare di capire dove ci ha portato. Se vuoi continuare ad indagare gli episodi più complessi e oscuri del passato italiano, ti consigliamo anche questi ascolti:

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