Come una rana d'inverno
Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz: Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi
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Letto da:
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Daniela Padoan
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Ottavia Piccolo
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Di:
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Daniela Padoan
A proposito di questo titolo
"Considerate se questa è una donna | Senza capelli e senza nome | Senza piú forza di ricordare | Vuoti gli occhi e freddo il grembo | Come una rana d'inverno". È con questa immagine scarnificata che Primo Levi, nell'incipit di Se questo è un uomo, indica la necessità di riflettere sulla condizione delle donne prigioniere ad Auschwitz. Eppure per molti anni la storiografia e la testimonianza hanno appiattito l'esperienza femminile in una declinazione universale, in un neutro linguistico che, dimenticando i corpi sessuati, ha reso opaca l'intenzionalità stessa dello sterminio. Seguendo questo filo, Daniela Padoan ha chiesto a tre testimoni straordinarie - Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi, internate ad Auschwitz-Birkenau nello stesso periodo ma in età diverse della vita - di ripensare la loro esperienza di persecuzione, prigionia e ritorno a una impossibile normalità declinandola al femminile. In un fitto intreccio di richiami e rimandi interni, di racconti talvolta mai fatti in pubblico, le tre visioni differenti e complementari diventano una narrazione sola, densissima di significato, che si fa relazione, dono di parole, in una circolarità in cui il lettore viene raggiunto, intaccato dalla viva voce di chi possiede "una doppia cittadinanza, nel mondo dei morti e nel mondo dei vivi".
©2024 Giulio Einaudi editore (P)2024 Giulio Einaudi editoreCosa pensano gli ascoltatori di Come una rana d'inverno
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Generale
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Lettura
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Storia
- Rubens
- 07/09/2024
Straordinaria testimonianza
Sono molto contento di avere incontrato questa ulteriore testimonianza di tre importanti sopravvissute ai lager nazisti.
Posso citare diversi motivi, in primo luogo la capacità misurata e la preparazione di Daniela Padoan nell’intervistare e guidare i racconti.
Lo fa con giusto distacco e professionalità, senza mai indugiare su dettagli drammatici o connotazioni emotive. Si pone in posizione di giornalista consapevole, lasciando che siano le tre intervistate a decidere il tono del racconto, sottolineando e chiedendo approfondimenti sugli aspetti più controversi, o che maggiormente contribuiscono alla costruzione di un quadro narrativo e informativo.
È poi un testo importante per il motivo più immediatamente comprensibile, quello di raccogliere testimonianze di persone anziane, che saranno molto preziose in futuro oltre che nell’epoca attuale.
E infine, lascio volontariamente questo argomento per ultimo, per la prospettiva femminile sulla vita nei campi di concentramento nazisti.
Questo è l’unico libro che ho letto, insieme al più datato (e solo recentemente ripubblicato) “Le donne di Ravensbruck”, a svilupparsi consapevolmente con un’ottica e una visione delle donne nei campi di sterminio.
La giornalista pone domande precise e mirate, sollecitando le testimoni a ragionare sulla connotazione particolare che ebbero i campi per donne e e bambine che erano, cresciute nel pudore e nella formazione della prima metà del novecento.
I tre racconti portano quindi una preziosa prospettiva che è stata a lungo trascurata e osteggiata, quella della metà femminile dei campi, sottolineandone le differenze/peculiarità sia dal punto di vista della particolare situazione subita, sia nella gestione nei rapporti diversi tra prigioniere, rispetto agli uomini.
Mi colpisce molto, confrontando tutti i libri letti sull’argomento, la galassia di relazioni e reazioni instaurate: mentre le testimoni di questo libro sottolineano l’importanza della solidarietà femminile, e come questa le abbia aiutate ad Auschwitz a sopravvivere e a gestire i terribili mesi di prigionia, ricordo bene racconti completamente diversi dalle donne di Ravensbruck.
Queste riferivano come le italiane fossero state molto isolate, non conoscessero la lingua e si trovassero al di fuori delle comunità che avrebbero potuto aiutarle a gestire la drammatica quotidianità, a sopravvivere; raccontano di un mondo senza solidarietà, ancora più spietato di quello che emerge in questo libro. Sembra quasi di sentir parlare di due universi opposti, che evidentemente hanno convissuto nel paradosso dell’universo concentrazionario tedesco.
Quello che però emerge da tutti i racconti, indifferentemente, è il trauma del non ascolto. Il fatto che le persone, uomini e donne, ritornati dai campi, non siano stati aiutati, ascoltati e sollecitati a raccontare. Tutte queste donne hanno iniziato la loro testimonianza dopo molti anni, addirittura quasi 40 nella maggior parte dei casi, sull’onda di una rinnovata sensibilità che dopo la guerra è venuta completamente a mancare. Rimarrà fra le grandi colpe del nostro paese quella di non aver saputo e voluto sostenere gli straordinari testimoni della furia nazista, comprendendo il valore del ricordo solo quando questo ha rischiato di sparire per età, negazione, indifferenza.
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Storia
- SILVANO PALUMBO
- 14/09/2024
imprescindibile
per chi vuole conoscere davvero gli abissi nei quali uomini sono stati capaci di sprofondare altri uomini è essenziale, ma anche per chi vuole un punto di vista diverso(femmnile)su quello che è stato l'Olocausto.
Ottavia Piccolo oltre ad essere una grande attrice è una formidabile lettrice, riesce a dare uno spessore speciale alle parole di queste donne straordinarie
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